Sono passati dieci anni
da quel giorno. Ma tutti quegli avvenimenti sono impressi nella mia mente
come marchi a fuoco. Mi chiamo Alain Soisson, ho partecipato alla presa
della Bastiglia il 14 luglio 1789 e sono rimasto anche ferito, non gravemente,
ma una pallottola mi trapassò la spalla. Non ho avuto conseguenze
al braccio, solo che non riesco a muoverlo più come una volta. La
pallottola mi scheggiò un pezzo d’osso. Ma io sono stato fortunato,
molti dei nostri morirono: vidi perire donne e bambini ma negli occhi morenti
di ciascuno di loro c’era la fierezza, non un’ombra di paura. Io ero il
vice capitano della guardia nazionale. Nessuna cerimonia per la mia decorazione,
la mia nomina era stata decisa dal mio comandante in punto di morte.
Sono stato fiero di pararmi davanti ai miei amici e guidarli verso la vittoria.
Ora ho la fortuna di essere qui a poter raccontare ai miei figli gli avvenimenti
di quei giorni. Loro sono ancora piccoli ma voglio che crescano con la
consapevolezza che il loro padre è stato un soldato della Guardia
Nazionale, un soldato agli ordini di Oscar Francois de Jarjayes.
Il mio Comandante. Un
grande e valoroso soldato, un nobile che si schierò dalla nostra
parte perché aveva capito che i francesi non erano più disposti
a sopportare i soprusi e le privazioni che la sua casta da secoli faceva
loro patire. Un militare, una donna.
Sì. Oscar Francois
de Jarjayes era una donna. Una donna speciale e tremendamente bella. Molti
dei nostri persero la testa per lei, per il suo sguardo fiero e per il
suo corpo longilineo.
Nella nostra caserma,
all’inizio, giravano le voci più disparate: che fosse una spia dell’”austriaca”,
che fosse una spia dei nobili o che semplicemente ci stesse prendendo in
giro, tutti quanti. Anche io all’inizio non volli abbassarmi ad ubbidirle.
Ma lei era speciale. Lei era vera, lei era semplicemente Oscar Francois
de Jarjayes. Persi la testa per lei. L’immagine del suo volto e del suo
corpo mi perseguitava durante i miei sogni e per un certo periodo di tempo
credetti possibile conquistare il suo gelido cuore. No, non è il
termine giusto. Il suo cuore non era affatto gelido, era semplicemente
intrappolato in una corazza invulnerabile, fatta di orgoglio e repressione.
L’amavo, dio se l’amavo e sarei morto per lei.
Il mio braccio l’ho ferito
per proteggerla: l’avevano colpita durante la presa della Bastiglia, l’avevano
già colpita e stavano per sparare ancora. Non ho esitato e le ho
fatto scudo col mio corpo, ma era già tutto inutile. Il primo sparo
l’aveva già presa al petto. Non ho udito alcun lamento: i suoi occhi
erano vivi e limpidi come sempre. Era come se quello sparo avesse posto
fine alla sua angoscia, al suo tremendo dolore di aver perso l’uomo che
amava.
A me sembrava di morire:
il dolore alla spalla non era niente paragonato all’angoscia che avevo
nel cuore. Non poteva andarsene, non poteva lasciarmi.
La adagiammo in un vicolo
e provammo a tamponarle la ferita. Ricordo che lei rifiutò la mano
pietosa che le puliva la fronte dal sangue. Una frase strozzata: <<Alain,
prendi tu il comando, io sono stanca, voglio riposare>>. Sapevo che quella
era la fine ma, come lei mi aveva ordinato, la lasciai. Un ultimo saluto
al mio Comandante e presi posto davanti ai soldati della Guardia. La Bastiglia
cadde finalmente nelle nostre mani e quando tornai indietro, vidi che era
morta. La solita espressione fiera, era come se si stesse realmente solo
riposando. Avrei voluto morire anche io in quel momento. Giurai a me stesso
che avrei fatto di tutto per costruire un mondo migliore, per non rendere
vano il sacrificio di quella donna così speciale.
Non le ho mai rivelato
che l’amavo, semplicemente perché come dissi una volta “Lei non
è una donna da amare”. O forse, non è una donna che io posso
amare. Solo ad Andrè è concesso. Loro si appartenevano da
sempre, erano padroni l’uno del cuore dell’altro. Da una vita. Io non conto
nulla, io sono solo uno il cui destino si è incrociato per un attimo
con il loro.
Andrè entrò
a far parte della nostra compagnia solo per amore di lei. L’amava con tutta
la sua forza, si annullava per lei. Molte volte cercai di dissuaderlo,
quell’amore così pazzesco l’avrebbe portato alla rovina; ma
lui insisteva, lui era sicuro che il cuore della sua Oscar gli sarebbe
appartenuto un giorno. E aveva ragione.
Sono stati felici anche
solo per poco; ricordo ancora la luce che entrambi avevano negli occhi
il giorno che arrivarono in caserma e ci comunicarono le loro decisioni.
Andrè è morto il 13 luglio, un giorno prima di lei, ma da
quel momento era come se anche lei fosse morta.
Non era più la
donna di cui mi ero innamorato, era diventata il fantasma di se stessa.
Per tutta la notte aveva
vegliato il corpo del suo compagno, seduta sugli scaloni della chiesa della
Madeleine, il luogo dove riunivamo i corpi dei nostri caduti. Io per tutta
la notte l’avevo sentita piangere, l’avevo sentita invocare la morte...dio
mio! Per un attimo anche io avevo pregato che qualcosa o qualcuno mettesse
fine al suo strazio, non resistevo nel vederla così. Poi mi
sono vergognato di me, invece di compiangerla dovevo fare qualcosa per
scuoterla da quell’agonia. La trovai rannicchiata in un vicolo, la esortai
a tornare in mezzo ai suoi soldati, le dissi che Andrè avrebbe voluto
così. Mi abbracciò e si mise a singhiozzare sulla mia spalla.
<<Oscar, io ti amo>> pensai <<ti prego, torna ad essere quella
che eri>>.
Ora loro riposano insieme.
L’una accanto all’altro. Rosalie ha detto che era certa che entrambi avrebbero
voluto una sepoltura ad Arras e così facemmo.
I miei figli mi chiedono
spesso di raccontare loro questa storia. Per loro ormai è diventata
una fiaba da ascoltare prima di dormire, ma io non mi stanco mai di dirgli
che è grazie a due persone meravigliose come Oscar e Andrè
che il loro padre è la persona che è adesso.
Alex